22 luglio 2009

Spesa a chilometri zero: puzza di protezionismo?


Spesa chilometri zero. Se ne sente parlare molto, in questi giorni.
"E' un modo di concepire la spesa per i prodotti alimentare che fa bene all'ambiente" viene detto.
La "spesa a chilometri zero" è quell'assioma per cui meno chilometri i cibi percorrono prima di giungere sulle nostre tavole, meglio è per l'ambiente. Ultimamente Coldiretti (e nel recente passato anche Slowfood) la sta spingendo molto, quasi fosse la panacea per i problemi dei piccoli produttori.
Ebbene IMHO non lo è, anzi.
Quest'assioma è un assurdo, e l'unica cosa che può portare è grave danno agli agricoltori che ne dovessero essere coinvolti.

  • Punto primo: la presunta "compatibilità ambientale del chilometro zero" è tutta da dimostrare.
Guardate questo grafico, frutto di uno studio del Green Design Institute:


Mostra i consumi energetici e l'inquinamento generato da un acquisto di prodotto online (centinaia o migliaia i km percorsi) e quelli generati da una spesa privata presso mercati locali.
Il motivo arcano di questo sorprendente risultato (la spesa online è più eco-friendly di quella presso mercati locali) è presto chiarito: 100 macchine che si muovono autonomamente per fare una (piccola) spesa in mercati magari distanti qualche km da casa, consumano e inquinano più dei pochi Tir e furgoni usati per il trasporto di grandi quantitativi di merce.

  • Punto secondo: ve l'immaginate cosa succederebbe se la Coldiretti (o chi per essa) ci costringesse (come in effetti oggi sta educatamente invitando a fare) ad acquistare esclusivamente prodotti provenienti entro un raggio di 50km dalle nostre città? Già vedo i veneti, i pugliesi o i campani bloccare i Tir carichi delle nostre prelibatezze molisane al grido "iatevenn!!!"...

Questo si chiama protezionismo. Di quartiere magari, ma dagli stessi fetidi effetti.

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